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Corte di Giustizia delle Comunità europee (Grande Sezione), 29 ottobre 2009

 

C-115/08, Land Oberösterreich    ČEZ as

 

 

Nel procedimento C‑115/08,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Landesgericht Linz (Austria) con decisione 5 marzo 2008, pervenuta in cancelleria il 17 marzo 2008, nella causa

 

Land Oberösterreich

 

contro

 

ČEZ as,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. K. Lenaerts, J.‑C. Bonichot e dalla sig.ra P. Lindh, presidenti di sezione, dai sigg. C.W.A. Timmermans, A. Rosas, K. Schiemann (relatore), P. Kūris, E. Juhász, G. Arestis e L. Bay Larsen, giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 marzo 2009,

considerate le osservazioni presentate:

        per il Land Oberösterreich, dagli avv.ti J. Hintermayr, F. Haunschmidt, G. Minichmayr, P. Burgstaller, G. Tusek e C. Hadeyer, Rechtsanwälte;

        per la ČEZ as, dall’avv. W. Moringer, Rechtsanwalt;

        per il governo austriaco, dai sigg. E. Riedl e C. Rauscher nonché dalla sig.ra C. Pesendorfer, in qualità di agenti;

        per il governo ceco, dal sig. M. Smolek, in qualità di agente;

        per il governo francese, dalla sig.ra A.‑L. During, in qualità di agente;

        per il governo polacco, dai sigg. M. Dowgielewicz, M. Nowacki e D. Krawczyk, in qualità di agenti;

        per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. E. Traversa e B. Schima, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 aprile 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 10 CE, 12 CE, 28 CE e 43 CE.

2        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra il Land Oberösterreich e la ČEZ as (in prosieguo: la «ČEZ») in merito ad immissioni o rischi di immissioni legati a radiazioni ionizzanti che produrrebbero i loro effetti su alcuni terreni agricoli situati in Austria, di proprietà del summenzionato Land, causati dall’esercizio da parte della ČEZ di una centrale nucleare situata a Temelín, nel territorio della Repubblica ceca.

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

 Il Trattato CEEA

3        Ai sensi dell’art. 1, secondo comma, EA, viene disposto quanto segue:

«La Comunità ha il compito di contribuire, creando le premesse necessarie per la formazione e il rapido incremento delle industrie nucleari, all’elevazione del tenore di vita negli Stati membri e allo sviluppo degli scambi con gli altri paesi».

4        L’art. 2 EA così dispone:

«Per l’assolvimento dei suoi compiti, la Comunità deve, alle condizioni previste dal presente Trattato:

(...)

b)      stabilire norme di sicurezza uniformi per la protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori e vigilare sulla loro applicazione,

c)      agevolare gli investimenti ed assicurare, particolarmente incoraggiando le iniziative delle imprese, la realizzazione degli impianti fondamentali necessari allo sviluppo dell’energia nucleare nella Comunità,

(...)».

5        Gli artt. 30 EA – 39 EA compongono il capo 3, intitolato «Protezione sanitaria», del titolo II del Trattato CEEA, denominato «Disposizioni intese a favorire il progresso nel campo dell’energia nucleare».

6        L’art. 30 EA così prevede:

«Sono istituite nella Comunità norme fondamentali relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti.

Per norme fondamentali s’intendono:

a)      le dosi massime ammissibili con un sufficiente margine di sicurezza,

b)      le esposizioni e contaminazioni massime ammissibili,

(...)».

7        Ai sensi dell’art. 31 EA viene disposto quanto segue:

«Le norme fondamentali vengono elaborate dalla Commissione, previo parere di un gruppo di personalità designate dal comitato scientifico e tecnico tra gli esperti scientifici degli Stati membri, particolarmente tra quelli versati in materia di sanità pubblica. (...)

Dopo consultazione del Parlamento europeo, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione che gli trasmette i pareri dei comitati da essa raccolti, stabilisce le norme fondamentali».

8        L’art. 32 EA così stabilisce:

«A richiesta della Commissione o di uno Stato membro, le norme fondamentali possono essere rivedute o completate secondo la procedura definita dall’articolo 31.

La Commissione è tenuta a istruire qualsiasi domanda formulata da uno Stato membro».

9        L’art. 33 EA così dispone:

«Ciascuno Stato membro stabilisce le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative atte a garantire l’osservanza delle norme fondamentali fissate (...).

La Commissione formula tutte le raccomandazioni intese ad assicurare l’armonizzazione delle disposizioni applicabili in materia negli Stati membri.

A tal fine, gli Stati membri sono tenuti a comunicare alla Commissione sia le disposizioni applicabili al momento dell’entrata in vigore del presente Trattato, sia gli ulteriori progetti di disposizioni di ugual natura.

(...)».

10      L’art. 35 EA ha il seguente tenore:

«Ciascuno Stato membro provvede agli impianti necessari per effettuare il controllo permanente del grado di radioattività dell’atmosfera, delle acque e del suolo, come anche al controllo sull’osservanza delle norme fondamentali.

La Commissione ha il diritto di accedere agli impianti di controllo e può verificarne il funzionamento e l’efficacia».

11      Ai sensi dell’art. 36 EA viene disposto quanto segue:

«Le informazioni relative ai controlli contemplati dall’articolo 35 sono regolarmente comunicate dalle autorità competenti alla Commissione, per renderla edotta del grado di radioattività di cui la popolazione possa eventualmente risentire».

12      L’art. 37 EA così dispone:

«Ciascuno Stato membro è tenuto a fornire alla Commissione i dati generali di qualsiasi progetto relativo allo smaltimento di residui radioattivi, sotto qualsiasi forma, per consentire di determinare se la realizzazione di tale progetto sia suscettibile di provocare una contaminazione radioattiva delle acque, del suolo o dello spazio aereo di un altro Stato membro.

La Commissione, previa consultazione del gruppo di esperti previsto dall’articolo 31, esprime il suo parere entro un termine di sei mesi».

13      L’art. 38 EA così prevede:

«La Commissione invia agli Stati membri tutte le raccomandazioni concernenti il grado di radioattività dell’atmosfera, delle acque e del suolo.

In caso di urgenza, la Commissione emana una direttiva con cui intima allo Stato membro in causa di adottare, nel termine che la Commissione stessa provvede a fissare, tutte le misure necessarie ad evitare un’infrazione alle norme fondamentali e a garantire il rispetto delle disposizioni regolamentari.

Qualora lo Stato in causa non si conformi nel termine stabilito alla direttiva della Commissione, quest’ultima o qualsiasi Stato membro interessato può, in deroga agli articoli 141 e 142, adire immediatamente la Corte di giustizia».

14      L’art. 192 EA ha il seguente tenore:

«Gli Stati membri adottano tutte le misure, di carattere generale o particolare, atte ad assicurare l’adempimento degli obblighi derivanti dal presente Trattato o risultanti dagli atti delle istituzioni della Comunità. Essi agevolano quest’ultima nell’esecuzione della sua missione.

Gli Stati membri si astengono da qualsiasi misura che possa risultare pregiudizievole al raggiungimento degli scopi del presente Trattato».

 La Convenzione sulla sicurezza nucleare

15      L’adesione della Comunità europea dell’energia atomica alla Convenzione sulla sicurezza nucleare, adottata il 17 giugno 1994, è stata approvata dalla decisione della Commissione 16 novembre 1999, 1999/819/Euratom (GU L 318, pag. 20). Anche tutti gli Stati membri sono parte di tale Convenzione.

16      Il terzo comma della dichiarazione allegata alla summenzionata decisione 1999/819, come modificata dalla decisione della Commissione 29 aprile 2004, 2004/491/Euratom (GU L 172, pag. 7), dichiara che «[l]a Comunità possiede competenze, condivise con [gli] Stati membri nei settori coperti dall’articolo 7 e dagli articoli da 14 a 19 della Convenzione, come stabilito dal Trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica all’articolo 2, lettera b) e nei pertinenti articoli del titolo II, capitolo 3, intitolato “Protezione sanitaria”».

17      Ai sensi del suo art. 1, lett. ii), la Convenzione sulla sicurezza nucleare ha, in particolare, l’obiettivo di «istituire e mantenere, negli impianti nucleari, difese efficaci contro i potenziali rischi radiologici, in modo da proteggere le persone, la società e l’ambiente dagli effetti nocivi delle radiazioni ionizzanti emesse da tali impianti».

18      L’art. 7 della Convenzione sulla sicurezza nucleare così dispone:

«1.      Ciascuna parte contraente istituisce e mantiene in vigore un quadro legislativo e regolatorio per disciplinare la sicurezza degli impianti nucleari.

2.      Il quadro legislativo e regolatorio deve prevedere:

i)      l’istituzione di prescrizioni e di norme di sicurezza nazionali applicabili;

ii)      un sistema di rilascio di autorizzazioni per gli impianti nucleari ed il divieto di esercire un impianto nucleare senza autorizzazione;

iii)      un sistema regolatorio di ispezioni e di valutazione degli impianti nucleari per verificare la conformità con la normativa applicabile e con i limiti di autorizzazione;

iv)      la vigilanza sul rispetto della normativa applicabile e dei limiti delle autorizzazioni, compresa la loro sospensione, modifica o revoca».

19      L’art. 8, n. 1, della stessa Convenzione prevede quanto segue:

«Ciascuna parte contraente istituisce o designa un organismo di regolamentazione incaricato di attuare il complesso delle disposizioni legislative e regolatorie di cui all’articolo 7, dotato di autorità, competenza e risorse umane e finanziarie adeguate per adempiere ai compiti assegnati».

20      L’art. 14 della detta Convenzione, intitolato «Valutazione e verifica della sicurezza», così recita:

«Ciascuna parte contraente intraprende le azioni appropriate per assicurare che vengano effettuate:

i)      valutazioni globali e sistematiche della sicurezza prima della costruzione e [del]l’avviamento di un impianto nucleare e per tutta la durata della sua vita. Tali valutazioni, adeguatamente documentate, devono essere successivamente aggiornate alla luce dell’esperienza operativa e delle più recenti informazioni rilevanti per la sicurezza, e riesaminate dall’organismo di regolamentazione;

ii)      verifiche mediante analisi, sorveglianza, prove ed ispezioni, intese a controllare che lo stato fisico e l’esercizio di un impianto nucleare continuino ad essere conformi alla sua progettazione, ai requisiti di sicurezza nazionali applicabili ed ai limiti ed alle condizioni di esercizio».

21      L’art. 15 della Convenzione sulla sicurezza nucleare, intitolato «Protezione radiologica», così dispone:

«Ciascuna parte contraente intraprende le azioni appropriate affinché, in normali condizioni di funzionamento, l’esposizione dei lavoratori e della popolazione alle radiazioni ionizzanti causata da un impianto nucleare sia mantenuta al livello più basso, ragionevolmente ottenibile, e che nessun individuo venga esposto a dosi di radiazione superiori ai limiti stabiliti a livello nazionale».

22      Gli artt. 16‑19 della detta Convenzione, rispettivamente intitolati «Pianificazione di emergenza», «Localizzazione», «Progettazione e costruzione» nonché «Esercizio», sanciscono vari obblighi relativi a tali questioni.

 La direttiva 96/29/Euratom

23      La direttiva del Consiglio 13 maggio 1996, 96/29/Euratom, che stabilisce le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti (GU L 159, pag. 1), è stata adottata sulla scorta degli artt. 31 EA e 32 EA.

24      Ai sensi dell’art. 2, n. 1, di detta direttiva vale quanto segue:

«La presente direttiva si applica a tutte le pratiche che implicano un rischio dovuto a radiazioni ionizzanti provenienti da una sorgente artificiale o da una sorgente di radiazione naturale nei casi in cui i radionuclidi naturali siano o siano stati trattati, per le loro proprietà radioattive, fissili o fertili, vale a dire:

a)      alla produzione, alla lavorazione, alla manipolazione, all’impiego, alla detenzione, all’immagazzinamento, al trasporto, all’importazione nella Comunità ed all’esportazione a partire dalla Comunità e allo smaltimento di sostanze radioattive;

b)      al funzionamento di qualunque attrezzatura elettrica che emetta radiazioni ionizzanti e contenga componenti funzionanti con una differenza di potenziale superiore a 5 kV;

c)      a ogni altra pratica designata dallo Stato membro».

25      L’art. 4 della direttiva in parola, intitolato «Autorizzazione», al n. 1, lett. a), così dispone:

«Salvo quanto previsto nel presente articolo, gli Stati membri provvedono a richiedere l’autorizzazione preventiva per le seguenti pratiche:

a)      funzionamento e disattivazione di impianti del ciclo del combustibile nucleare (...)».

26      L’art. 6, n. 3, della direttiva 96/29 dispone quanto segue:

«Inoltre, gli Stati membri garantiscono che:

a)      nel quadro dell’ottimizzazione qualsiasi esposizione sia mantenuta al livello più basso ragionevolmente ottenibile, tenuto conto dei fattori economici e sociali;

b)      salvo il disposto dell’articolo 12, la somma delle dosi derivanti da tutte le pratiche in oggetto non superi i limiti di dose stabiliti nel presente titolo per i lavoratori esposti, gli apprendisti, gli studenti e gli individui della popolazione».

27      L’art. 13 della direttiva in oggetto fissa i limiti di dose da rispettare per gli individui della popolazione.

28      L’art. 43, intitolato «Principi di base», il quale figura sotto il titolo VIII della summenzionata direttiva, denominato «Applicazione della radioprotezione della popolazione in situazione normale», prevede quanto segue:

«Ogni Stato membro crea le condizioni necessarie al fine di garantire la migliore protezione possibile della popolazione sulla base dei principi stabiliti dall’articolo 6 e per l’applicazione dei principi fondamentali che disciplinano dal punto di vista operativo la protezione della popolazione».

29      L’art. 44 della direttiva 96/29, intitolato «Condizioni per l’autorizzazione di pratiche implicanti per la popolazione un rischio di radiazioni ionizzanti», così dispone:

«La protezione operativa della popolazione in situazione normale contro le pratiche soggette ad autorizzazione preventiva è l’insieme delle disposizioni e degli accertamenti atti ad individuare e eliminare i fattori che nello svolgimento di un’operazione qualsiasi che esponga alle radiazioni ionizzanti, possono comportare per la popolazione un rischio di esposizione che non può essere trascurato dal punto di vista della radioprotezione. La protezione prevede i seguenti adempimenti:

a)      esame e approvazione dei progetti di impianti implicanti un rischio di esposizione nonché dei siti proposti per detti impianti nel territorio interessato, sotto il profilo della radioprotezione;

b)      collaudo di detti nuovi impianti, previa verifica dell’esistenza di un’adeguata protezione contro qualsiasi esposizione o contaminazione radioattiva che possa uscire dal loro perimetro, tenendo conto, se del caso, delle condizioni demografiche, meteorologiche, geologiche, idrologiche ed ecologiche;

c)      esame ed approvazione di progetti per lo smaltimento degli effluenti radioattivi.

Questi compiti vengono svolti conformemente a modalità determinate dalle autorità competenti a seconda dell’entità del rischio di esposizione».

30      L’art. 45 della stessa direttiva, intitolato «Stima delle dosi per la popolazione», ha il seguente tenore:

«Le autorità competenti:

a)      provvedono affinché le stime delle dosi [risultanti dalle] pratiche di cui all’articolo 44 siano eseguite nel modo più realistico possibile per la popolazione nel suo insieme e per i gruppi di riferimento della popolazione in tutti i luoghi in cui essi possano trovarsi;

b)      decidono sulla frequenza delle valutazioni e prendono tutti i provvedimenti necessari per individuare i gruppi di riferimento della popolazione, tenendo conto delle vie effettive di trasmissione delle sostanze radioattive;

c)      provvedono affinché, tenuto conto dei rischi di radiazioni, le stime delle dosi per la popolazione includano quanto segue:

–        valutazione delle dosi dovute alle radiazioni esterne, con l’indicazione, se del caso, della qualità delle radiazioni in oggetto,

–        valutazione dell’assunzione di radionuclidi, con l’indicazione della natura dei radionuclidi e, se del caso, del loro stato fisico e chimico, e determinazione dell’attività e delle concentrazioni di detti radionuclidi,

–        valutazione delle dosi che i gruppi di riferimento della popolazione possono ricevere e specificazione delle caratteristiche di tali gruppi;

d)      prescrivono la conservazione di registri delle misurazioni dell’esposizione esterna, delle stime dell’assunzione di radionuclidi e di contaminazione radioattiva, nonché delle conclusioni delle valutazioni delle dosi ricevute dai gruppi di riferimento e dalla popolazione».

31      L’art. 46 della direttiva in oggetto, sotto la rubrica «Ispezione», prevede quanto segue:

«Per quanto attiene alla tutela sanitaria della popolazione, ogni Stato membro istituisce un sistema d’ispezione al fine di far rispettare le norme emanate in conformità della presente direttiva e di promuovere le misure di sorveglianza nel campo della radioprotezione».

32      L’art. 47 della direttiva 96/29, intitolato «Responsabilità delle imprese», così stabilisce al suo n. 1:

«Ogni Stato membro impone alle imprese responsabili di pratiche contemplate all’articolo 2, l’obbligo di conformarsi ai principi di protezione sanitaria della popolazione nel campo della radioprotezione e, in particolare, di adempiere i seguenti compiti all’interno dell’impianto:

a)      raggiungere e conservare un livello ottimale di protezione dell’ambiente e della popolazione;

b)       verificare l’efficacia dei dispositivi tecnici destinati alla protezione dell’ambiente e della popolazione;

c)      collaudare, sotto il profilo della sorveglianza della radioprotezione, le attrezzature e i processi di misurazione e, a seconda dei casi, di valutazione dell’esposizione e della contaminazione radioattiva dell’ambiente e della popolazione;

d)       tarare periodicamente gli strumenti di misurazione e controllarne periodicamente lo stato di funzionamento e il corretto impiego».

33      Gli artt. 48‑53 della direttiva in parola, che ne compongono il titolo IX, hanno come oggetto gli interventi in caso di emergenza radiologica.

34      L’art. 54 della stessa direttiva così dispone:

«La presente direttiva fissa le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti ai fini dell’applicazione uniforme da parte degli Stati membri. Qualora uno Stato membro adotti dosi limite più rigorose di quelle fissate dalla presente direttiva, ne informa la Commissione e gli Stati membri».

35      È pacifico che la Repubblica d’Austria non ha trasmesso informazioni in tal senso né alla Commissione né agli altri Stati membri.

 La normativa nazionale

36      L’art. 364, n. 2, del codice civile austriaco (Allgemeines bürgerliches Gesetzbuch; in prosieguo: l’«ABGB») così stabilisce:

«Il proprietario di un fondo può vietare al vicino le immissioni provenienti dal suo fondo tramite deflusso di acque, fumo, gas, calore, odori, rumore, scuotimenti e analoghe propagazioni, qualora, avuto riguardo alle condizioni del luogo, superino la misura abituale e compromettano in misura sostanziale il godimento del fondo secondo consuetudine. Lo scarico diretto senza specifico titolo giuridico è inammissibile in qualsiasi circostanza».

37      L’art. 364 a dell’ABGB dispone quanto segue:

«Tuttavia, qualora un danno che oltrepassi la misura suddetta sia arrecato da una miniera oppure da un impianto che beneficia di un’autorizzazione amministrativa situato sul fondo vicino, il possessore del fondo è legittimato soltanto a chiedere giudizialmente l’indennizzo del danno subito, anche nel caso in cui il danno sia stato provocato da circostanze delle quali non si sia tenuto conto nella valutazione della pubblica amministrazione».

 La causa principale e il suo contesto

38      Il Land Oberösterreich è proprietario di taluni fondi destinati all’agricoltura e alla sperimentazione agronomica sui quali ha sede una scuola agraria. Tali fondi sono situati in Austria a circa 60 km dalla centrale nucleare di Temelín, la quale è situata, da parte sua, in territorio ceco a 50 km dalla frontiera austriaca.

39      Tale centrale è esercita dall’impresa di fornitura energetica ČEZ, una società per azioni ceca detenuta in maggioranza dallo Stato ceco.

40      La costruzione e l’esercizio della centrale nucleare di Temelín sono stati autorizzati dalle autorità ceche nel 1985 e la centrale è entrata in servizio in via sperimentale il 9 ottobre 2000.

41      Nel 2001, il Land Oberösterreich e altri proprietari privati hanno adito il Landesgericht Linz (Tribunale di Linz) con talune azioni ex art. 364, n. 2, dell’ABGB, finalizzate ad ottenere l’ingiunzione alla ČEZ di far cessare le immissioni o i rischi di immissioni legati alle possibili radiazioni ionizzanti emanate dalla centrale summenzionata.

42      A giudizio del Land Oberösterreich, la radioattività generata dal normale funzionamento della centrale nucleare in parola o, comunque, i rischi di contaminazione legati all’esercizio e all’eventuale cattivo funzionamento di quest’ultima pregiudicherebbero durevolmente il normale uso dei fondi ad esso appartenenti. Pertanto sussisterebbero i presupposti di un’azione inibitoria diretta a far cessare le immissioni, eventualmente preventiva.

43      La centrale summenzionata è stata, peraltro, oggetto di negoziati tra la Repubblica d’Austria e la Repubblica ceca. Un protocollo relativo a tali negoziati è stato firmato a Melk (Austria) il 12 dicembre 2000. Il 29 novembre 2001, i due Stati di cui trattasi hanno adottato un documento intitolato «Conclusioni relative alla procedura di Melk e suo monitoraggio», cui fa segnatamente riferimento la dichiarazione comune della Repubblica ceca e della Repubblica d’Austria sull’accordo bilaterale relativo alla centrale nucleare di Temelín, allegata all’atto finale del Trattato di adesione all’Unione europea di dieci nuovi Stati membri, tra i quali figura la Repubblica ceca, firmato ad Atene il 16 aprile 2003 (GU L 236, pag. 17), dichiarazione con cui questi due Stati membri affermano il loro impegno ad adempiere ai rispettivi obblighi bilaterali ai sensi delle dette conclusioni.

44      Dal 2003 la centrale nucleare di Temelín funziona a piena capacità.

45      Come risulta dalla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla sicurezza nucleare e l’allargamento dell’Unione europea del 6 novembre 2002 [COM(2002) 605 def.], nell’ambito dei negoziati che hanno condotto all’adesione di dieci nuovi Stati membri nel 2004, i problemi legati alla sicurezza nucleare delle centrali di cui disponevano gli Stati candidati sono stati oggetto di un’attenzione davvero particolare in seguito all’adozione delle risoluzioni del Consiglio europeo di Colonia del 3 e 4 giugno 1999, con cui si chiedeva alla Commissione di vigilare sull’applicazione di norme di sicurezza elevate nell’Europa centrale e orientale. La valutazione conseguentemente svolta ha portato tanto alla disattivazione di reattori nucleari, quanto a raccomandazioni dirette a conseguire il miglioramento di questi al fine di spingerli ad un livello di sicurezza comparabile con quello esistente all’interno dell’Unione europea per reattori comparabili, raccomandazioni la cui effettiva attuazione è stata monitorata dalla Commissione e dal Consiglio [v., in particolare, il punto 4 dell’introduzione della detta comunicazione e i punti 1.1, lett. b), e 3.2 della stessa].

46      Parallelamente alla procedura di Melk, nella quale la Commissione ha svolto un ruolo attivo per facilitare il dialogo tra le autorità ceche e austriache, la sicurezza della centrale nucleare di Temelín è stata pertanto valutata dalla Commissione e dal Consiglio, alla stregua degli altri impianti nucleari dei paesi candidati, e i risultati di questa valutazione hanno dimostrato che questa centrale, se si attuavano le raccomandazioni proposte, presentava un livello di sicurezza nucleare soddisfacente [v. il punto 1.1, lett. b), della detta comunicazione].

47      Peraltro, come risulta dal punto 5.3.2 della comunicazione della Commissione recante una sintesi delle attività svolte nel 2004 e nel 2005 per l’attuazione del titolo II, capi da 3 a 10, del Trattato Euratom [COM(2006) 395 def.], dopo l’adesione della Repubblica ceca all’Unione europea a Temelín sono state svolte, nel 2004 e nel 2005, alcune verifiche a norma dell’art. 35 EA.

48      La Commissione ha inoltre emesso un parere, in data 24 novembre 2005, concernente il piano di smaltimento di rifiuti radioattivi derivanti dalle modifiche effettuate nel sito dell’installazione nucleare di Temelín, nella Repubblica ceca, a norma dell’articolo 37 del Trattato Euratom (GU C 293, pag. 40). In tale parere, la Commissione ha in particolare concluso che «l’attuazione del piano di smaltimento di rifiuti radioattivi in qualsiasi forma, derivanti dalle modifiche effettuate nel sito della centrale nucleare di Temelín (...), non è tale da comportare, né in normali condizioni operative né in caso di incidente del tipo e dell’entità considerati nei dati generali, una contaminazione radioattiva significativa sotto il profilo sanitario delle acque, del suolo o [dello spazio aereo] di un altro Stato membro».

49      Il 3 novembre 2006 i due reattori della centrale di Temelín sono stati oggetto di un controllo e di una dichiarazione definitiva di conformità alle disposizioni regolamentari in vigore.

 Le questioni pregiudiziali

50      Il Landesgericht Linz spiega che l’art. 364 a dell’ABGB, che esclude la proponibilità di azioni inibitorie dirette a far cessare immissioni nel caso di impianti che beneficino di un’autorizzazione amministrativa, secondo la giurisprudenza precedente era applicabile anche agli impianti autorizzati da autorità straniere qualora risultasse che l’immissione in questione era autorizzata dal diritto internazionale e che le condizioni di autorizzazione applicabili nello Stato d’origine erano sostanzialmente equivalenti a quelle in vigore in Austria.

51      Con sentenza 4 aprile 2006 l’Oberster Gerichtshof ha tuttavia dichiarato che solo le autorizzazioni rilasciate dalle autorità austriache rientrano nell’ambito di applicazione del detto art. 364 a. Tale disposizione troverebbe infatti il proprio fondamento unicamente in una ponderazione di interessi interni divergenti e non sarebbe in alcun modo giustificato il fatto che il legislatore austriaco imponesse restrizioni al diritto di proprietà su beni immobili situati in Austria e che subiscono danni unicamente nell’interesse di un’economia straniera e in nome dell’interesse pubblico straniero.

52      A giudizio del Landesgericht Linz, l’interpretazione così adottata dall’Oberster Gerichtshof potrebbe violare il diritto comunitario in quanto essa comporta una disparità di trattamento tra gli impianti che dispongono di un’autorizzazione rilasciata dalla autorità austriache e quelli che beneficiano di un’autorizzazione rilasciata dalle autorità di un altro Stato membro.

53      Considerando che né i Trattati CE e CEEA, né il diritto da essi derivato contengono norme relative alla concessione di autorizzazioni a centrali nucleari e al riconoscimento di tali autorizzazioni in Stati membri diversi da quelli che le hanno rilasciate, il giudice del rinvio chiede se la disparità di trattamento così rilevata violi gli artt. 10 CE, 12 CE, 28 CE o 43 CE.

54      Ciò considerato, il Landesgericht Linz ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      a)     Se costituisca una misura di effetto equivalente ai sensi dell’art. 28 CE il fatto che si imponga, tramite sentenza inibitoria emessa da un giudice di uno Stato membro confinante – sentenza che, ai sensi del [regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 2001, L 12, pag. 1)], è esecutiva in tutti gli Stati membri –, ad un’impresa che esercisce una centrale elettrica produttrice di energia fornita a diversi Stati membri in uno Stato membro in ottemperanza della legislazione di tale Stato e delle pertinenti norme di diritto comunitario, a causa delle possibili immissioni di tale centrale, l’obbligo di adeguare l’impianto alle norme tecniche di un altro Stato membro o addirittura, qualora risulti impossibile attuare misure di adeguamento per la complessità dell’impianto nel suo insieme, quello di far cessare il funzionamento dell’impianto, e che a tale giudice non sia consentito, in forza dell’interpretazione delle norme nazionali fornita a livello del massimo grado di giudizio di tale paese, di tener conto dell’esistenza di un’autorizzazione all’esercizio della centrale elettrica rilasciata nello Stato membro sul cui territorio essa è situata, benché, nell’ambito di una simile azione inibitoria, esso terrebbe conto di un’autorizzazione nazionale dell’impianto, con l’effetto che quindi non verrebbe pronunciata una sentenza inibitoria nei confronti di un impianto autorizzato nello Stato del foro.

b)      Se le giustificazioni sancite dal Trattato CE debbano essere interpretate nel senso che la distinzione operata dal diritto di uno Stato membro tra autorizzazioni nazionali e straniere all’esercizio degli impianti, relativamente alla considerazione che è necessario tutelare esclusivamente l’economia nazionale, ma non quella di un altro paese, è in ogni caso illegittima poiché ciò costituisce un motivo di carattere meramente economico non riconosciuto meritevole di tutela nell’ambito delle libertà fondamentali.

c)      Se le giustificazioni sancite dal Trattato CE e il relativo principio di proporzionalità debbano essere interpretati nel senso che una distinzione sommaria operata dal diritto di uno Stato membro tra autorizzazioni nazionali e straniere degli impianti è in ogni caso illegittima in quanto l’esercizio di un impianto autorizzato nello Stato membro nel cui territorio esso è situato deve essere valutato nel caso specifico da un giudice nazionale di un altro Stato membro sulla base delle effettive minacce che il funzionamento dell’impianto comporta per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la tutela della salute, o sulla base di altri riconosciuti motivi imperativi di interesse generale.

d)      Se, alla luce del principio di proporzionalità da esaminare nell’ambito delle giustificazioni, i giudici di uno Stato membro debbano comunque trattare l’autorizzazione all’esercizio di un impianto rilasciata nello Stato membro nel cui territorio esso è situato alla stregua di un’autorizzazione nazionale qualora, sotto il profilo giuridico, l’autorizzazione rilasciata nello Stato membro nel cui territorio è situato l’impianto sia sostanzialmente equiparabile a un’autorizzazione nazionale.

e)      Se sia rilevante ai fini della valutazione delle precedenti questioni il fatto che l’impianto autorizzato nello Stato membro sul cui territorio esso è situato è una centrale nucleare qualora in un altro Stato membro in cui sia pendente un’azione inibitoria per il rischio di immissioni provenienti da una centrale nucleare non possano di per sé essere eserciti impianti di questo tipo, benché siano operativi altri impianti a tecnologia nucleare.

f)      Se, qualora l’interpretazione del diritto nazionale descritta nella prima questione, sub a), comporti una violazione dell’art. 28 CE, i giudici dello Stato membro dinanzi ai quali è pendente un’azione inibitoria diretta a far cessare le immissioni siano tenuti a interpretare la legislazione nazionale in maniera conforme al diritto comunitario, nel senso che l’espressione “impianto che beneficia di un’autorizzazione amministrativa” comprende sia le autorizzazioni nazionali all’esercizio di impianti sia quelle straniere rilasciate da autorità di altri Stati membri.

2)      a)     Se sia compatibile con il divieto di limitazione della libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, di cui all’art. 43 CE, che si imponga, tramite sentenza inibitoria emessa da un giudice di uno Stato membro confinante – sentenza che ai sensi del [regolamento n. 44/2001] è esecutiva in tutti gli Stati membri –, ad un’impresa che esercisce una centrale elettrica in uno Stato membro, in ottemperanza della legislazione di tale Stato e delle pertinenti norme di diritto comunitario, l’obbligo di adeguare l’impianto alle norme tecniche di un altro Stato membro o addirittura, qualora risulti impossibile attuare misure di adeguamento per la complessità dell’impianto nel suo insieme, quello di far cessare il funzionamento dell’impianto, a causa delle possibili immissioni di tale centrale, e che a tale giudice non sia consentito, in forza dell’interpretazione delle norme nazionali fornita a livello del massimo grado di giudizio di tale paese, di tener conto dell’esistenza di un’autorizzazione all’esercizio della centrale elettrica rilasciata nello Stato membro sul cui territorio essa è situata, benché, nell’ambito di una simile azione inibitoria, esso terrebbe conto di un’autorizzazione nazionale dell’impianto, con l’effetto che quindi non verrebbe pronunciata una sentenza inibitoria nei confronti di un impianto autorizzato nello Stato del foro.

b)      Se le giustificazioni sancite per la limitazione della libertà di stabilimento debbano essere interpretate nel senso che una distinzione effettuata dal diritto di uno Stato membro tra autorizzazioni nazionali e straniere per l’esercizio degli impianti, relativamente alla considerazione che è necessario tutelare esclusivamente l’economia nazionale, ma non quella di un altro paese, è in ogni caso illegittima poiché ciò costituisce un motivo di carattere meramente economico non riconosciuto meritevole di tutela nell’ambito delle libertà fondamentali.

c)      Se le giustificazioni sancite dal Trattato CE per la limitazione della libertà di stabilimento e, in particolare, il principio di proporzionalità debbano essere interpretati nel senso che una distinzione sommaria operata dal diritto di uno Stato membro tra autorizzazioni nazionali e straniere degli impianti è in ogni caso illegittima in quanto l’esercizio di un impianto autorizzato nello Stato membro nel cui territorio esso è situato deve essere valutato nel caso specifico da un giudice nazionale di un altro Stato membro sulla base delle effettive minacce che il funzionamento dell’impianto comporta per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la tutela della salute, o sulla base di altri riconosciuti motivi imperativi di interesse generale.

d)      Se, alla luce del principio di proporzionalità da esaminare nell’ambito delle giustificazioni di atti lesivi della libertà di stabilimento, i giudici di uno Stato membro debbano comunque trattare l’autorizzazione all’esercizio di un impianto rilasciata nello Stato membro nel cui territorio esso è situato alla stregua di un’autorizzazione nazionale qualora, sotto il profilo giuridico, l’autorizzazione rilasciata nello Stato membro nel cui territorio è situato l’impianto sia sostanzialmente equiparabile a un’autorizzazione nazionale.

e)      Se sia rilevante ai fini della valutazione delle precedenti questioni, anche alla luce della libertà di stabilimento, il fatto che l’impianto autorizzato nello Stato membro sul cui territorio esso è situato sia una centrale nucleare qualora in un altro Stato membro in cui sia pendente un’azione inibitoria per il rischio di immissioni provenienti da una centrale nucleare non possano di per sé essere eserciti impianti di questo tipo, benché siano operativi altri impianti a tecnologia nucleare.

f)      Se, qualora l’interpretazione del diritto nazionale descritta nella seconda questione, sub a), comporti una violazione dell’art. 28 CE, i giudici dello Stato membro dinanzi ai quali è pendente un’azione inibitoria diretta a far cessare le immissioni siano tenuti a interpretare la legislazione nazionale in maniera conforme al diritto comunitario, nel senso che l’espressione “impianto che beneficia di un’autorizzazione amministrativa” comprenda sia le autorizzazioni nazionali all’esercizio di impianti sia quelle straniere rilasciate da autorità di altri Stati membri.

3)      a)     Se costituisca una discriminazione indiretta in base alla nazionalità, vietata ai sensi dell’art. 12 CE, il fatto che, nell’ambito di un’azione inibitoria privata relativa ad un impianto, i giudici di uno Stato membro tengano conto dell’autorizzazione del detto impianto rilasciata dalle autorità pubbliche nazionali, con l’effetto che qualsiasi azione volta a far cessare o adeguare [alle norme tecniche dello Stato del foro] il funzionamento dell’impianto viene respinta, mentre, nell’ambito di una simile azione inibitoria, tali giudici non tengono conto delle autorizzazioni all’esercizio degli impianti rilasciate in altri Stati membri dalle autorità pubbliche di tali Stati membri.

b)      Se una simile discriminazione rientri nell’ambito di applicazione del Trattato, considerato che essa riguarda le condizioni giuridiche in base alle quali le imprese che eserciscono impianti di questo tipo possono stabilirsi in uno Stato membro, nonché le condizioni giuridiche alle quali tali imprese producono l’energia elettrica e la forniscono in altri Stati membri, e quindi essa presenta almeno un nesso indiretto con l’attuazione delle libertà fondamentali.

c)      Se una tale discriminazione possa essere giustificata da motivi oggettivi qualora i giudici interessati dello Stato membro non effettuino un esame caso per caso delle circostanze su cui si basa l’autorizzazione dell’impianto nello Stato membro in cui è situato. Se non sarebbe conforme al principio di proporzionalità che l’autorizzazione straniera rilasciata nello Stato nel cui territorio è situato l’impianto venga presa in considerazione dai giudici dell’altro Stato membro almeno qualora questa sia sostanzialmente equiparabile, sotto il profilo giuridico, a un’autorizzazione nazionale all’esercizio dell’impianto.

d)      Se, qualora l’interpretazione del diritto nazionale descritto nella terza questione, sub a), comporti una violazione dell’art. 12 CE, i giudici dello Stato membro dinanzi ai quali è pendente un’azione inibitoria diretta a far cessare le immissioni siano tenuti a interpretare la legislazione nazionale in maniera conforme al diritto comunitario, nel senso che l’espressione “impianto che beneficia di un’autorizzazione amministrativa” comprende sia le autorizzazioni nazionali all’esercizio di impianti sia quelle straniere rilasciate da autorità di altri Stati membri.

4)      a)     Se il principio di leale cooperazione nel campo di applicazione del diritto comunitario sancito dall’art. 10 CE si applichi anche nel rapporto tra gli Stati membri.

b)      Se da tale principio di leale cooperazione si debba desumere che gli Stati membri non devono reciprocamente ostacolare o addirittura vanificare il rispettivo esercizio di pubblici poteri, in particolare quando si tratta delle loro rispettive decisioni riguardanti la progettazione, la costruzione e l’esercizio di impianti nucleari sul loro territorio.

c)      Se, qualora l’interpretazione del diritto nazionale descritta nella quarta questione, sub a), comporti una violazione dell’art. 10 CE, i giudici dello Stato membro dinanzi ai quali è pendente un’azione inibitoria diretta a far cessare le immissioni siano tenuti a interpretare la legislazione nazionale in maniera conforme al diritto comunitario, nel senso che l’espressione “impianto che beneficia di un’autorizzazione amministrativa” comprende sia le autorizzazioni nazionali all’esercizio di impianti sia quelle straniere rilasciate da autorità di altri Stati membri».

 Osservazione preliminare

55      Secondo il governo austriaco, il giudice del rinvio avrebbe fornito una descrizione lacunosa dell’art. 364 a dell’ABGB. La giurisprudenza affermerebbe, infatti, che anche autorizzazioni rilasciate in Austria esulano dall’ambito di applicazione di tale disposizione qualora siano state adottate al termine di un procedimento che non ha riconosciuto al vicino lo status di parte ovvero in presenza di turbamenti o rischi gravi alla vita o alla salute. Non sussisterebbe pertanto la disparità di trattamento riferita dal giudice del rinvio.

56      Il Land Oberösterreich sostiene che, contrariamente a quanto risulta dalla decisione di rinvio, l’espressione «impianto che beneficia di un’autorizzazione amministrativa» contenuta nell’art. 364 a dell’ABGB può essere applicata anche alle autorizzazioni rilasciate dalle autorità di un altro Stato. Ciò avverrebbe qualora l’immissione fosse autorizzata dal diritto internazionale, le condizioni di autorizzazione in vigore nello Stato dello stabilimento fossero equivalenti a quelle previste dallo Stato del foro e il proprietario del bene minacciato avesse potuto partecipare al procedimento di autorizzazione in qualità di parte. Orbene, nella fattispecie, sarebbe pacifico che una centrale nucleare non può essere autorizzata nel diritto austriaco, che l’autorizzazione rilasciata alla ČEZ non risponde né alle norme tecniche né alle prescrizioni procedurali attualmente in vigore e che il Land Oberösterreich non ha potuto partecipare al procedimento di autorizzazione di cui trattasi.

57      Al riguardo, va tuttavia ricordato che non compete alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione di disposizioni nazionali, dato che un’interpretazione di questo tipo ricade infatti sotto la competenza esclusiva dei giudici nazionali. Perciò la Corte, qualora sia adita in via pregiudiziale da un giudice nazionale, deve attenersi all’interpretazione del diritto nazionale che ad essa è stata esposta dal detto giudice (v., in tal senso, in particolare, sentenza 2 ottobre 2008, causa C‑360/06, Heinrich Bauer Verlag, Racc. pag. I‑7333, punto 15 e giurisprudenza ivi citata).

 Sulle questioni pregiudiziali

 Considerazioni preliminari

58      Come risulta dal testo stesso delle questioni pregiudiziali, nel formularle il giudice del rinvio muove dal presupposto che la decisione che esso potrebbe eventualmente adottare, con l’effetto di costringere la ČEZ ad adeguare la centrale nucleare di Temelín ovvero a cessare l’esercizio di quest’ultima in caso fosse impossibile apportare gli adattamento richiesti, godrà dell’autorità di cui godono in ogni Stato membro le decisioni pronunciate conformemente alle disposizioni del regolamento n. 44/2001.

59      Nelle sue osservazioni, il governo ceco solleva due obiezioni contro tale presupposto.

60      In primo luogo, esso contesta la stessa applicabilità delle disposizioni del regolamento n. 44/2001 alla decisione giurisdizionale che si intende adottare. L’art. 66, n. 1, del detto regolamento escluderebbe infatti, in linea di principio, l’applicabilità delle disposizioni in parola in caso di azioni giudiziarie che, come l’azione di cui alla causa principale, sono state proposte prima dell’entrata in vigore di tale regolamento. Peraltro, nessuna delle due riserve previste al proposito dal n. 2 dello stesso articolo troverebbe applicazione nel caso di specie. Da una parte, infatti, l’azione di cui alla causa principale non sarebbe stata proposta dopo l’entrata in vigore della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (GU 1972, L 299, pag. 32) tra i due Stati interessati, poiché la Repubblica ceca non ne era parte al momento in cui tale causa è stata proposta. Dall’altra, la competenza dei giudici austriaci risulterebbe, nel caso di specie, non da regole di competenza conformi alle regole previste dal capo II del detto regolamento, bensì da una regola di competenza meramente nazionale fondata sul domicilio del ricorrente della causa principale.

61      In secondo luogo, il governo ceco sostiene che, anche supponendo che le disposizioni del regolamento n. 44/2001 siano applicabili, dinanzi ai giudici cechi troverebbe applicazione, nel caso di specie, l’art. 34, punto 1, di tale regolamento, il quale prevede che le decisioni non siano riconosciute qualora un tale riconoscimento sia manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto.

62      Tenuto conto della soluzione fornita in prosieguo alle questioni sottoposte dal giudice del rinvio, non è tuttavia necessario pronunciarsi sulle obiezioni così formulate dal governo ceco né, più in generale, sull’interpretazione delle disposizioni del regolamento n. 44/2001.

 Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

63      Il Land Oberösterreich sostiene che le questioni pregiudiziali sono irricevibili sotto un duplice profilo.

64      Da una parte, l’eccessiva lunghezza delle questioni in oggetto nonché la circostanza che esse enuncino numerosi argomenti ed elementi di fatto renderebbero impossibile la formulazione di risposte chiare.

65      A tal riguardo, la Corte tuttavia osserva che gli elementi di fatto e di diritto contenuti sia nella motivazione della decisione di rinvio sia nelle questioni pregiudiziali sono idonei a consentirle di esercitare la competenza ad essa devoluta.

66      Dall’altra, il Land Oberösterreich sostiene che non sussista un collegamento sufficiente tra la situazione di cui alla causa principale e il diritto comunitario, così che le questioni pregiudiziali hanno un carattere artificioso o ipotetico.

67      A tal riguardo, occorre sottolineare che la questione se una situazione come quella di cui alla causa principale rientri nell’ambito di applicazione delle disposizioni comunitarie considerate dal giudice del rinvio è una questione di merito legata alla loro interpretazione, di modo che gli eventuali dubbi al riguardo non sono idonei a pregiudicare la ricevibilità delle questioni pregiudiziali.

68      Da quanto precede risulta che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

 Sull’identificazione delle disposizioni comunitarie che necessitano di un’interpretazione

69      Nella sua decisione, il giudice del rinvio espone i dubbi da esso nutriti in merito alla conformità al diritto comunitario dell’art. 364 a dell’ABGB, in considerazione della disparità di trattamento che una siffatta disposizione introduce tra, da un lato, le imprese che possiedono un impianto che beneficia di un’autorizzazione amministrativa rilasciata in Austria, le quali non sono esposte ad un’azione inibitoria, eventualmente preventiva, diretta a far cessare le immissioni da parte di vicini, e, dall’altro, un’impresa che, come la ČEZ, possiede un impianto, nella fattispecie una centrale nucleare, il quale beneficia di un’autorizzazione rilasciata dalle autorità competenti di un altro Stato membro, e che si trova esposta ad una azione inibitoria di questo tipo.

70      A tal riguardo, il giudice del rinvio identifica più particolarmente quattro disposizioni del Trattato CE che potrebbero, a suo giudizio, ostare ad una siffatta disparità di trattamento, vale a dire, rispettivamente, gli artt. 10 CE, 12 CE, 28 CE e 43 CE.

 Osservazioni presentate alla Corte

71      Ferme restando le posizioni assunte in merito ai quattro articoli del Trattato CE summenzionati, la ČEZ, i governi ceco, francese e polacco nonché la Commissione affermano che varie disposizioni del Trattato CEEA e alcuni regolamenti adottati in scorta ad esso sono pertinenti ai fini della problematica in tal modo sollevata dal giudice del rinvio.

72      Ritenendo che la disparità di trattamento di cui al procedimento principale sia vietata ai sensi dell’art. 12 CE, la Commissione afferma in particolare, a tal riguardo, che il divieto di discriminazioni in base alla nazionalità sancito da tale articolo costituisce un principio generale che dev’essere applicato anche nell’ambito del Trattato CEEA o che, per lo meno, il fatto che si sia in presenza di un’impresa che ricade sotto quest’ultimo Trattato fa propendere per l’applicazione a quest’ultima dell’art. 12 CE. Gli artt. 30 EA – 32 EA e la direttiva 96/29 nonché l’art. 37 EA indicherebbero, in particolare, che la situazione di cui alla causa principale rientra nell’ambito applicativo del Trattato CEEA.

73      All’udienza, la Commissione ha precisato a tal riguardo in particolare che, se uno Stato membro esclude la possibilità di accogliere un’azione inibitoria preventiva diretta a far cessare immissioni qualora l’attività all’origine del turbamento benefici di un’autorizzazione amministrativa, tale Stato membro non può autorizzare un’azione di questo tipo qualora l’attività in questione sia quella di una centrale nucleare stabilita in uno Stato membro diverso da quello in cui essa beneficia di un’autorizzazione amministrativa. Infatti, secondo la Commissione, una siffatta disparità di trattamento non può essere giustificata, in quanto, in particolare, l’esistenza di una tale autorizzazione indica, sulla scorta del diritto derivato dal Trattato CEEA, che il rispetto dei valori limite, per quanto riguarda l’esposizione alle radiazioni ionizzanti nell’ambito di un esercizio normale, è stato debitamente esaminato ed è stato oggetto di controlli continui.

74      Secondo il governo ceco, nella causa principale si devono applicare gli artt. 30 EA – 39 EA nonché gli artt. 7, 8 e 14 della Convenzione sulla sicurezza nucleare. L’esame, da parte dei giudici austriaci, dell’autorizzazione rilasciata per l’esercizio della centrale nucleare di Temelín da parte del Consiglio per la sicurezza nucleare, autorità nazionale ceca designata ai sensi dell’art. 8 della detta Convenzione, violerebbe le disposizioni summenzionate e, segnatamente, i poteri riconosciuti a questa autorità nazionale, nonché, conseguentemente, l’art. 192 EA. L’insieme di tali disposizioni implicherebbe in particolare un obbligo di fiducia reciproca tra gli Stati membri per quanto concerne le autorizzazioni rilasciate e i controlli svolti dagli stessi.

75      All’udienza, la ČEZ ha sostenuto che il fatto che un giudice austriaco operi una valutazione in merito all’autorizzazione amministrativa rilasciata dall’autorità ceca competente o in merito alla sicurezza della centrale nucleare di Temelín usurpa le competenze della Repubblica ceca quali riconosciute dalla Convenzione sulla sicurezza nucleare e viola sia quest’ultima sia il principio della lealtà stabilito dall’art. 192 EA.

76      Il governo polacco ritiene che gli artt. 30 EA – 39 EA, la direttiva 96/29, in particolare i suoi artt. 4, n. 1, lett. a), 13, 44 e 45, nonché la Convenzione sulla sicurezza nucleare, in particolare i suoi artt. 7, 14 e 15, stabiliscano un livello minimo di armonizzazione in materia di dosi limite d’immissione di radiazioni ionizzanti che ciascuna centrale nucleare deve rispettare al fine di poter ottenere un’autorizzazione all’esercizio. Le dette disposizioni prevedrebbero anche il sistematico svolgimento di valutazioni della sicurezza e di verifiche mediante analisi, sorveglianza, prove ed ispezioni, e consentirebbero sia alla Commissione, grazie a controlli in loco e ad informazioni che devono esserle comunicate, sia agli Stati membri confinanti, mediante consultazioni tra le parti e trasmissioni di informazioni, di procedere ad una valutazione dell’attività delle centrali nucleari. In tale contesto, il giudice del rinvio dovrebbe limitarsi a verificare se la ČEZ disponga di un’autorizzazione relativa alla centrale nucleare di Temelín, a pena di violare l’art. 192 EA.

77      Intervenuto nella fase orale del procedimento, il governo francese ha sostenuto che nel caso di specie dovevano essere presi in considerazione gli artt. 30 EA – 32 EA, 33 EA, 35 EA, 37 EA e 38 EA, interpretati alla luce della giurisprudenza della Corte, nonché la direttiva 96/29, i quali hanno specificatamente l’obiettivo di definire un quadro che consenta di difendere le popolazioni dal rischio connesso agli impianti nucleari.

78      Il detto governo sottolinea inoltre che le condizioni di funzionamento della centrale nucleare di Temelín sono state oggetto di un controllo approfondito da parte della Commissione durante il processo di adesione, senza che il suo esercizio venisse rimesso in discussione in tale occasione. Esso cita inoltre le verifiche operate dalla Commissione e il parere favorevole che essa ha reso, menzionati ai punti 47 e 48 della presente sentenza.

79      Secondo questo stesso governo, il quadro così introdotto dal Trattato CEEA osta a che un giudice di uno Stato membro possa ingiungere al gestore di una centrale nucleare che opera in un altro Stato membro, ai sensi delle prescrizioni che risultano dalla normativa relativa al detto quadro, di adeguare o di cessare l’attività di tale centrale.

80      Peraltro, i governi francese e polacco hanno affermato, all’udienza, di condividere il punto di vista della Commissione secondo cui il principio di non discriminazione in base alla nazionalità stabilito dall’art. 12 CE costituisce un principio generale che trova applicazione anche nell’ambito del Trattato CEEA. Secondo questi governi, un tale principio verrebbe violato nel caso di specie dalla disparità di trattamento che discende dall’art. 364 a dell’ABGB a sfavore delle centrali nucleari che dispongono di un’autorizzazione rilasciata in uno Stato membro diverso dalla Repubblica d’Austria nel rispetto di norme che sono oggetto di un’armonizzazione comunitaria minima.

 Giudizio della Corte

81      La circostanza che formalmente il giudice del rinvio abbia formulato la questione pregiudiziale facendo riferimento a talune disposizioni del diritto comunitario non osta a che la Corte fornisca al giudice nazionale tutti gli elementi di interpretazione che possono essere utili per la soluzione della causa di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o meno riferimento nella formulazione delle sue questioni (v., in particolare, sentenze 15 settembre 2005, causa C‑258/04, Ioannidis, Racc. pag. I‑8275, punto 20 e giurisprudenza ivi citata, nonché 21 febbraio 2006, causa C‑152/03, Ritter-Coulais, Racc. pag. I‑1711, punto 29 e giurisprudenza ivi citata). A tal proposito la Corte è tenuta a trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio gli elementi di diritto comunitario che richiedano un’interpretazione tenuto conto dell’oggetto della controversia (v., in particolare, sentenza 20 marzo 1986, causa 35/85, Tissier, Racc. pag. 1207, punto 9).

82      Nel caso di specie, va anzitutto rilevato che la controversia principale verte, essenzialmente, sulla questione se un’attività industriale che consiste nell’esercizio di una centrale nucleare possa continuare e, se del caso, quali siano le condizioni tecniche che possono essere imposte ad una siffatta centrale a causa delle immissioni o dei rischi di immissioni in cui asseritamente incorrono taluni beni immobili situati in un altro Stato membro a causa della loro eventuale esposizione alle radiazioni ionizzanti provenienti da tale centrale.

83      Orbene, un’attività industriale di questo tipo rientra, in ragione del suo stesso oggetto e in misura rilevante, nell’ambito di applicazione del Trattato CEEA ed è pacifico che quest’ultimo prevede, inoltre, un insieme di norme relative proprio alla tutela delle popolazioni e dell’ambiente avverso le radiazioni ionizzanti.

84      Peraltro, va sottolineato che la Corte detiene, ai sensi degli artt. 234 CE e 150 EA, una competenza identica ai fini dell’interpretazione delle disposizioni che rientrano nei Trattati CE e CEEA. Anche la circostanza che il giudice del rinvio, formalmente, abbia adito la Corte ai sensi dell’art. 234 CE e abbia interrogato quest’ultima in merito all’interpretazione di disposizioni del Trattato CE non osta, di per sé, a che la Corte fornisca al detto giudice tutti gli elementi che possono essere utili alla soluzione della causa di cui è stato investito, anche qualora questi rientrino nell’ambito di applicazione del Trattato CEEA e implichino che la Corte decida in forza della competenza che essa detiene ai sensi dell’art. 150 EA (v., in tal senso, sentenza 15 gennaio 1986, causa 44/84, Hurd, Racc. pag. 29, punti 1 e 14).

85      Va, inoltre, ricordato che l’art. 305, n. 2, CE prevede espressamente che le disposizioni del Trattato CE non derogano a quelle del Trattato CEEA.

86      Nel caso di specie, l’esame dei principi e delle disposizioni specifiche contenuti nel Trattato CEEA e in taluni atti adottati sulla sua scorta consente, come si spiegherà in prosieguo, di risolvere i quesiti sollevati dal giudice del rinvio.

 Sul principio del divieto di discriminazioni in base alla nazionalità nell’ambito di applicazione del Trattato CEEA

 Sull’esistenza del detto principio

87      Occorre ricordare che l’art. 12 CE, cui fa riferimento la terza questione pregiudiziale, vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità nell’ambito di applicazione del Trattato CE.

88      Benché il Trattato CEEA non preveda alcuna disposizione esplicita corrispondente al detto articolo del Trattato CE, resta tuttavia il fatto, come ha sottolineato molto presto la Corte, che il principio sancito all’art. 12 CE fa parte dei «principi» della Comunità e che la norma del trattamento nazionale costituisce una delle sue disposizioni giuridiche fondamentali (v., in particolare, sentenza 21 giugno 1974, causa 2/74, Reyners, Racc. pag. 631, punti 15 e 24).

89      Il detto art. 12, che vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità, costituisce del resto solo un’espressione specifica del principio generale di uguaglianza che costituisce a sua volta uno dei principi fondamentali del diritto comunitario (v., in tal senso, in particolare, sentenze 8 ottobre 1980, causa 810/79, Überschär, Racc. pag. 2747, punto 16, e 19 marzo 2002, causa C‑224/00, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑2965, punto 14).

90      Alla luce di quanto precede, risulterebbe contrario sia alla finalità sia alla coerenza dei Trattati che le discriminazioni in base alla nazionalità, vietate nell’ambito di applicazione del Trattato CE ai sensi dell’art. 12 CE, siano invece tollerate nell’ambito di applicazione del Trattato CEEA.

91      Perciò si deve riconoscere che il principio del divieto di ogni discriminazione in base alla nazionalità nell’ambito di applicazione del diritto comunitario, benché espressamente previsto solo dall’art. 12 CE, costituisce un principio generale destinato ad essere applicato anche nell’ambito del Trattato CEEA.

 Sull’esistenza, nel procedimento principale, di una disparità di trattamento in base alla nazionalità nell’ambito di applicazione del Trattato CEEA

92      In primo luogo, è giurisprudenza costante che le regole della parità di trattamento tra cittadini e stranieri proibiscono non solo le discriminazioni palesi basate sulla nazionalità, o sulla sede per quanto concerne le società, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga di fatto al medesimo risultato (v., in particolare, sentenze 13 luglio 1993, causa C‑330/91, Commerzbank, Racc. pag. I‑4017, punto 14, e Commissione/Italia, cit., punto 15).

93      A tal riguardo, dalla decisione di rinvio risulta che l’art. 364 a dell’ABGB prevede che un’impresa che possiede un impianto industriale situato sul territorio austriaco che benefici di un’autorizzazione amministrativa rilasciata dalle competenti autorità austriache non può, in linea di principio, essere oggetto di un’azione inibitoria ex art. 364, n. 2, dell’ABGB, diretta a far cessare le immissioni che il detto impianto provoca o rischia di provocare sui fondi vicini. In un siffatto caso, un vicino di tale impianto può solo agire al fine di ottenere un indennizzo a causa dei danni effettivamente subiti dal suo fondo, anche qualora il danno risulti da circostanze che non sono state prese in considerazione nella procedura di autorizzazione amministrativa.

94      L’art. 364 a dell’ABGB non fa quindi alcuna distinzione in funzione della particolare natura dell’attività industriale esercitata nell’impianto così autorizzato, né in funzione delle circostanze che sono state prese in considerazione nella procedura di autorizzazione.

95      Per contro, il giudice del rinvio spiega che un’impresa la quale, come la ČEZ, disponga di un impianto industriale situato sul territorio di un altro Stato membro, in cui essa beneficia di tutte le necessarie autorizzazioni amministrative rilasciate dalle autorità di tale Stato membro, può essere oggetto di un’azione inibitoria diretta a far cessare le immissioni ex art. 364, n. 2, dell’ABGB, senza la possibilità di invocare la riserva prevista al proposito dall’art. 364 a dell’ABGB.

96      Orbene, è pacifico che le imprese che eserciscono un impianto situato in uno Stato membro diverso dalla Repubblica d’Austria sono, di regola, imprese con sede in quest’altro Stato membro.

97      Ne consegue che la disparità di trattamento introdotta dagli artt. 364, n. 2, e 364 a dell’ABGB a sfavore degli impianti che beneficino di un’autorizzazione amministrativa rilasciata in uno Stato membro diverso dalla Repubblica d’Austria conduce, di fatto, allo stesso risultato di una disparità di trattamento in base alla nazionalità.

98      In secondo luogo, una volta dimostrata detta disparità di trattamento in base alla nazionalità, occorre determinare se essa rientri, nel caso di specie, nell’ambito di applicazione del Trattato CEEA.

99      A tal riguardo, se è pur vero che il Trattato CEEA non contiene alcun titolo relativo agli impianti di produzione di energia nucleare, nondimeno il titolo II di tale Trattato, denominato «Disposizioni intese a favorire il progresso nel campo dell’energia nucleare», contiene un capo 3, intitolato «Protezione sanitaria», che mira a garantire la tutela della sanità pubblica nel settore nucleare (v., in particolare, sentenza 29 marzo 1990, causa C‑62/88, Grecia/Consiglio, Racc. pag. I‑1527, punto 17).

100    La Corte ha dichiarato più volte che le disposizioni del detto capo 3 dovevano essere interpretate in senso lato in modo da assicurarne l’effetto utile (v., in particolare, sentenza 10 dicembre 2002, causa C‑29/99, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑11221, punto 78). Pertanto, avendo rilevato che il detto capo 3 attua l’art. 2, lett. b), EA, che incarica la Comunità di «stabilire norme di sicurezza uniformi per la protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori, e [di] vigilare sulla loro applicazione», la Corte ha dichiarato in particolare che risulta che tale protezione non può essere conseguita senza un controllo delle sorgenti di radiazioni nocive (v. sentenza Commissione/Consiglio, cit., punto 76).

101    Al punto 72 della citata sentenza Commissione/Consiglio, la Corte, chiamata a pronunciarsi in merito alla portata della competenza comunitaria ai fini della conclusione della Convenzione sulla sicurezza nucleare, ha constatato che la Comunità possiede competenze, ripartite con gli Stati membri, per intraprendere, ai sensi dell’art. 15 della detta Convenzione, le azioni appropriate affinché, in normali condizioni di funzionamento, l’esposizione dei lavoratori e della popolazione alle radiazioni ionizzanti causata da un impianto nucleare sia mantenuta al livello più basso ragionevolmente ottenibile e che nessun individuo venga esposto a dosi di radiazioni superiori ai limiti stabiliti a livello nazionale.

102    Al punto 82 della stessa sentenza Commissione/Consiglio, la Corte ha anche ricordato che dalla sua giurisprudenza precedente discende che per delimitare le competenze della Comunità non occorre operare una distinzione artificiosa tra la protezione sanitaria della popolazione e la sicurezza delle sorgenti di radiazioni ionizzanti. Essa ne ha in particolare dedotto che la Comunità dispone anche di una certa competenza esterna nelle materie coperte dagli artt. 7, 14 e 16‑19 della Convenzione sulla sicurezza nucleare, i quali hanno ad oggetto, rispettivamente, il regime di autorizzazione applicabile alla costruzione e all’esercizio delle centrali nucleari, la valutazione e la verifica della sicurezza, la pianificazione di emergenza, la localizzazione, la progettazione e la costruzione delle centrali nonché il loro esercizio.

103    In particolare essa ha dichiarato, quanto all’art. 7 della Convenzione sulla sicurezza nucleare, che, anche se il Trattato CEEA non conferisce alla Comunità la competenza ad autorizzare la costruzione o l’esercizio di impianti nucleari, quest’ultima dispone, in forza degli artt. 30 EA – 32 EA, di una competenza normativa al fine di istituire, per la protezione sanitaria, un sistema di autorizzazione che deve essere applicato dagli Stati membri. Infatti, un atto legislativo del genere costituisce un provvedimento che integra le norme fondamentali considerate all’art. 30 EA (sentenza Commissione/Consiglio, cit., punti 88 e 89).

104    Peraltro, interpretando l’art. 37 EA, che è una disposizione da applicarsi al fine di prevenire le possibilità di contaminazione radioattiva delle acque, del suolo o dello spazio aereo di un altro Stato membro, la Corte ha dichiarato, in particolare, che detto articolo dev’essere interpretato nel senso che i dati generali di un progetto relativo allo smaltimento di residui radioattivi devono essere comunicati alla Commissione prima che tale smaltimento sia autorizzato dalle autorità competenti dello Stato membro interessato. La Corte ha rilevato al riguardo la grandissima importanza che rivestono gli orientamenti che la Commissione può fornire, previa consultazione del gruppo di esperti, a tale Stato membro e che quest’ultimo dev’essere in grado di esaminarli a fondo in condizioni tali da consentire che le raccomandazioni della Commissione possano essere prese in considerazione prima del rilascio dell’autorizzazione (sentenze 22 settembre 1988, causa 187/87, Land de Sarre e a., Racc. pag. 5013, punti 12‑16, nonché 12 aprile 2005, causa C‑61/03, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I‑2477, punto 39).

105    Da tutto quanto precede consegue che il rilascio di autorizzazioni amministrative relative alla costruzione ed al funzionamento di impianti nucleari, nei loro aspetti relativi alla protezione sanitaria contro i pericoli per la popolazione risultanti da radiazioni ionizzanti, ricade nell’ambito di applicazione del Trattato CEEA.

106    Orbene, la causa principale mira a determinare se gli effetti che sono o che possono essere generati dalle radiazioni ionizzanti attuali o future emanate dalla centrale nucleare di Temelín giustifichino, nonostante le autorizzazioni rilasciate a tale centrale, che si ingiunga alla ČEZ di procedere al suo adeguamento, ovvero alla sua chiusura, al fine di prevenire o di arginare siffatti effetti o rischi.

107    Ne consegue che la disparità di trattamento rilevata al punto 97 della presente sentenza rientra, relativamente ad un’azione come quella di cui alla causa principale, nell’ambito di applicazione del Trattato CEEA.

 Sull’esistenza di una giustificazione

108    Conformemente alla giurisprudenza della Corte, la constatazione operata al punto 107 della presente sentenza non è sufficiente per concludere che le dette disposizioni nazionali siano incompatibili con il divieto di discriminazione in base alla nazionalità nell’ambito di applicazione del Trattato CEEA. Va anche esaminato se la mancata considerazione, ai sensi dell’art. 364 a dell’ABGB, delle autorizzazioni amministrative rilasciate ad impianti nucleari situati sul territorio di Stati membri diversi dalla Repubblica d’Austria, e l’applicazione a questi ultimi delle sole disposizioni dell’art. 364, n. 2, dell’ABGB possano essere giustificate da circostanze oggettive indipendenti dalla nazionalità e se una tale disparità di trattamento sia, in tal caso, proporzionata all’obiettivo legittimamente perseguito (v. in particolare in tal senso, con riferimento all’art. 12 CE, sentenze Commissione/Italia, cit., punto 20; 5 giugno 2008, causa C‑164/07, Wood, Racc. pag. I‑4143, punto 13, e 16 dicembre 2008, causa C‑524/06, Huber, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 75).

109    Per quanto concerne, da una parte, il quesito che risulta dalla prima e dalla seconda questione pregiudiziale, lett. b), è sufficiente rilevare che la volontà del legislatore austriaco di tenere conto degli interessi degli operatori economici nazionali, escludendo quelli degli operatori economici con sede in altri Stati membri, non è ammissibile come giustificazione della disparità di trattamento che risulta dalla normativa di cui alla causa principale. Non potendo giustificare un ostacolo ai principi fondamentali di libera circolazione delle merci o di libera prestazione di servizi (v., in particolare, sentenze 28 aprile 1998, causa C‑120/95, Decker, Racc. pag. I‑1831, punto 39, e causa C‑158/96, Kohll, Racc. pag. I‑1931, punto 41), gli obiettivi meramente economici non possono neppure giustificare una discriminazione in base alla nazionalità nell’ambito di applicazione del Trattato CEEA.

110    D’altra parte, quanto alle giustificazioni che potrebbero trarsi dalla tutela della vita o della salute, invocate dal giudice del rinvio, o ancora dalla tutela dell’ambiente o dal diritto di proprietà, invocate anche dal Land Oberösterreich, neanche queste risultano idonee a giustificare una disparità di trattamento, come quella di cui alla causa principale, tra le autorizzazioni amministrative rilasciate dalle autorità austriache in favore di impianti industriali situati in Austria e quelle rilasciate in favore di una centrale nucleare situata in un altro Stato membro dalle autorità competenti di quest’ultimo.

111    A tal riguardo va sottolineato, in primo luogo, che, come risulta dal quarto comma del preambolo del Trattato CEEA, i suoi firmatari erano «solleciti d’instaurare condizioni di sicurezza che allontanino i pericoli per la vita e la salute delle popolazioni». L’art. 2, lett. b), EA precisa, per parte sua, che, per l’assolvimento dei suoi compiti, la Comunità deve, alle condizioni previste dal detto Trattato, «stabilire norme di sicurezza uniformi per la protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori e vigilare sulla loro applicazione».

112    Condizioni di questo tipo, le quali vengono precisate agli artt. 30 EA – 39 EA che compongono il capo 3 del titolo II del Trattato CEEA, sono dirette, come ha precedentemente rilevato la Corte, a garantire una protezione sanitaria coerente ed efficace della popolazione contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti, a prescindere da quale sia la sorgente e quali siano le categorie di persone esposte a tali radiazioni (sentenza 4 ottobre 1991, causa C‑70/88, Parlamento/Consiglio, Racc. pag. I‑4529, punti 13 e 14).

113    Gli artt. 30 EA e 31 EA prevedono, in particolare, l’adozione da parte della Comunità, previo parere di un gruppo di esperti scientifici, di norme fondamentali relative alla protezione sanitaria della popolazione contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti.

114    Come risulta dall’art. 33, primo comma, EA, spetta a ciascuno Stato membro stabilire le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative atte a garantire l’osservanza delle norme fondamentali così fissate dalla Comunità. Il secondo comma di questo stesso articolo investe tuttavia la Commissione della competenza a formulare tutte le raccomandazioni intese ad assicurare l’armonizzazione delle disposizioni applicabili in materia negli Stati membri. Come ha precisato la Corte, tale potere di dare raccomandazioni può essere in particolare esercitato per quanto concerne quegli aspetti relativi alla progettazione e alla costruzione nonché all’esercizio di un impianto nucleare che consentono di garantire il rispetto delle norme fondamentali. Per parte loro, gli Stati membri sono, inoltre, tenuti a contribuire all’elaborazione di tali raccomandazioni mediante le comunicazioni di cui all’art. 33, terzo comma, EA (sentenza Commissione/Consiglio, cit., punto 105).

115    Le dette norme fondamentali, che devono essere in particolare governate dal principio dell’ottimizzazione della protezione (v., in tal senso, sentenza 25 novembre 1992, causa C‑376/90, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑6153, punto 27), e che sono state modificate a più riprese al fine di tener conto dell’evoluzione delle conoscenze scientifiche in materia di radioprotezione, sono fissate dalla direttiva 96/29.

116    Come risulta dai punti 23‑34 della presente sentenza, la direttiva 96/29 contiene anche varie disposizioni relative ai regimi di autorizzazione, di sorveglianza, d’ispezione e d’intervento in caso di emergenza radiologica, disposizioni che gli Stati membri devono introdurre per le attività che implichino un rischio di radiazione ionizzante per la popolazione.

117    In secondo luogo, va sottolineato che il dispositivo giuridico elaborato dal Trattato CEEA in materia di protezione sanitaria non si limita a prevedere l’introduzione di norme fondamentali, ma contiene inoltre un importante elemento relativo al controllo del loro rispetto nonché al controllo della radioattività dell’atmosfera, delle acque e del suolo.

118    Le disposizioni del capo 3 del titolo II del detto Trattato formano infatti un complesso coerente che attribuisce alla Commissione competenze piuttosto estese per la protezione della popolazione e dell’ambiente contro i rischi di contaminazione nucleare (v. citate sentenze Land de Sarre e a., punto 11, nonché Commissione/Consiglio, punto 79).

119    Questo è in particolare l’oggetto degli artt. 35 EA – 38 EA che, come rilevato in precedenza dalla Corte, conferiscono segnatamente alla Commissione poteri considerevoli (sentenza Commissione/Regno Unito, cit., punto 35).

120    Ad esempio, l’art. 35 EA obbliga gli Stati membri a provvedere agli impianti necessari per effettuare il controllo permanente del grado di radioattività dell’atmosfera, delle acque e del suolo nonché il controllo sull’osservanza delle norme fondamentali.

121    Alla Commissione è riconosciuto, in forza del secondo comma dell’art. 35 EA, il diritto di accedere a tali impianti di controllo al fine di verificarne il funzionamento e l’efficacia. L’art. 36 EA stabilisce peraltro, a carico delle autorità nazionali competenti, l’obbligo di comunicare regolarmente alla Commissione le informazioni relative ai controlli contemplati dall’art. 35 EA, per renderla edotta del grado di radioattività di cui la popolazione possa eventualmente risentire.

122    Come risulta dal punto 47 della presente sentenza, la Commissione ha quindi svolto, nel 2004 e nel 2005, alcune verifiche a Temelín a norma dell’art. 35 EA.

123    Come ricordato al punto 104 della presente sentenza, l’art. 37 EA mira a prevenire le possibilità di contaminazione radioattiva delle acque, del suolo o dello spazio aereo di un altro Stato membro. Ai sensi di tale disposizione, i dati generali di qualsiasi progetto relativo allo smaltimento di residui radioattivi devono essere forniti alla Commissione prima che tali smaltimenti siano autorizzati dalle autorità competenti dello Stato membro interessato, affinché il detto Stato membro sia in grado di esaminare gli orientamenti che la Commissione può dargli, previa consultazione del gruppo di esperti, approfonditamente e in condizioni tali che le raccomandazioni della Commissione possano essere tenute in considerazione prima del rilascio dell’autorizzazione.

124    La Corte ha già sottolineato, a tal riguardo, l’importanza del ruolo svolto in materia dalla Commissione, che è la sola ad avere una visione globale degli sviluppi delle attività del settore nucleare nell’intero territorio della Comunità (sentenza Land de Sarre e a., cit., punti 12 e 13).

125    Come indicato al punto 48 della presente sentenza, la Commissione ha espresso un parere, conformemente all’art. 37 EA, in data 24 novembre 2005, ai sensi del quale tale istituzione ha concluso che l’attuazione del piano di smaltimento di rifiuti radioattivi in qualsiasi forma, derivanti dalle modifiche effettuate nel sito della centrale nucleare di Temelín, non è tale da comportare, né in normali condizioni operative né in caso di incidente del tipo e dell’entità considerati nei dati generali, una contaminazione radioattiva significativa sotto il profilo sanitario delle acque, del suolo o dello spazio aereo di un altro Stato membro.

126    L’art. 38 EA, infine, conferisce alla Commissione il potere, da una parte, di inviare agli Stati membri tutte le raccomandazioni concernenti il grado di radioattività dell’atmosfera, delle acque e del suolo e, dall’altra, in caso d’urgenza, di emanare una direttiva con cui intima allo Stato membro in causa di adottare, nel termine che essa fissa, tutte le misure necessarie ad evitare un’infrazione alle norme fondamentali e a garantire il rispetto delle disposizioni regolamentari. Qualora lo Stato in causa non si conformi, entro il termine impartito, alla direttiva della Commissione, quest’ultima o qualsiasi Stato membro interessato può, in deroga agli artt. 141 EA e 142 EA, adire immediatamente la Corte.

127    In terzo luogo, va ricordato che sia la Comunità europea dell’energia atomica sia i suoi Stati membri sono parte della Convenzione sulla sicurezza nucleare la quale, ai sensi del suo art. 1, lett. ii), persegue in particolare l’obiettivo di «istituire e mantenere, negli impianti nucleari, difese efficaci contro i potenziali rischi radiologici, in modo da proteggere le persone, la società e l’ambiente dagli effetti nocivi delle radiazioni ionizzanti emesse da tali impianti».

128    A tal riguardo, l’art. 15 della detta Convenzione prevede che ciascuna parte contraente intraprenda le azioni appropriate affinché, in normali condizioni di funzionamento, l’esposizione dei lavoratori e della popolazione alle radiazioni ionizzanti causata da un impianto nucleare sia mantenuta al livello più basso ragionevolmente ottenibile.

129    Peraltro, il preambolo della detta Convenzione riafferma, al punto iii), che «la responsabilità della sicurezza nucleare spetta allo Stato nella cui giurisdizione ricade un impianto nucleare», mentre, ai sensi dell’art. 7, n. 2, della stessa Convenzione, ciascuna parte contraente è in particolare tenuta ad istituire un quadro legislativo e regolatorio che preveda in particolare un sistema di rilascio di autorizzazioni per gli impianti nucleari ed il divieto di esercire un impianto nucleare senza autorizzazione, un sistema regolatorio di ispezione e di valutazione degli impianti nucleari per verificare la conformità con la normativa applicabile e con i limiti di autorizzazione nonché la vigilanza sul rispetto della normativa applicabile e dei limiti delle autorizzazioni.

130    In quarto luogo, va rammentato che, come sottolineato ai punti 45 e 46 della presente sentenza, nel quadro dei negoziati che hanno condotto all’adesione di dieci nuovi Stati membri all’Unione, il 1° maggio 2004, le questioni connesse alla sicurezza delle centrali nucleari di cui disponevano questi ultimi, tra cui quella di Temelín, sono state esaminate dalla Commissione, il che ha portato alla formulazione di raccomandazioni comunitarie dirette al loro miglioramento al fine di spingerle ad un livello di sicurezza nucleare comparabile con quello esistente all’interno dell’Unione per reattori comparabili, raccomandazioni la cui effettiva attuazione è stata in seguito monitorata dalla Commissione e dal Consiglio.

131    Va anche sottolineato che, in caso di cattivo funzionamento del sistema di protezione introdotto in forza del Trattato CEEA, gli Stati membri dispongono di varie possibilità di azione per ottenere le correzioni che potrebbero imporsi a tal riguardo.

132    Anzitutto, l’art. 32 EA conferisce ad ogni Stato membro il diritto di proporre una richiesta finalizzata alla revisione o al completamento delle norme fondamentali fissate ai sensi degli artt. 30 EA e 31 EA, richiesta che la Commissione è tenuta, in tali circostanze, ad istruire.

133    Poi, ai sensi dell’art. 142 EA, ciascuno degli Stati membri può adire la Corte, quando reputi che un altro Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù del Trattato CEEA. Nella situazione di urgenza di cui all’art. 38 EA, un siffatto ricorso può aver luogo anche immediatamente.

134    Infine, gli artt. 145 EA – 149 EA prevedono, come le corrispondenti disposizioni del Trattato CE, meccanismi di controllo giurisdizionale concernenti sia la legittimità degli atti del Consiglio o della Commissione, sia i casi in cui una di queste istituzioni si astenga dal pronunciarsi in violazione del Trattato CEEA.

135    Ciò considerato, si deve constatare che, qualora uno Stato membro abbia emanato una disposizione interna che, come l’art. 364 a dell’ABGB, impedisca, come spiegato dal giudice del rinvio, di proporre un’azione inibitoria diretta a far cessare le immissioni se l’asserito turbamento o l’asserito rischio di turbamento provenga da un impianto industriale che beneficia di un’autorizzazione amministrativa, il detto Stato membro non può escludere in linea di principio dall’ambito di applicazione di una siffatta disposizione le autorizzazioni rilasciate in favore di impianti nucleari situati in altri Stati membri, cercando di giustificare una tale esclusione con la necessità di tutelare la vita, la sanità pubblica, l’ambiente o il diritto di proprietà.

136    Infatti, una simile esclusione prescinde totalmente dal fatto che il contesto normativo comunitario, quale descritto ai punti 111‑134 della presente sentenza e in cui in parte si inseriscono le siffatte autorizzazioni, contribuisce per l’appunto in maniera essenziale a garantire una siffatta protezione. Perciò, detta esclusione non può essere considerata necessaria ai detti fini di tutela né, pertanto, si può ritenere che essa soddisfi il requisito della proporzionalità.

 Sull’obbligo d’interpretare il diritto nazionale in modo da garantirne la conformità con il diritto comunitario

137    Come risulta in particolare dalla prima questione, lett. f), dalla seconda questione, lett. f), dalla terza questione, lett. d), e dalla quarta questione, lett. c), il giudice del rinvio s’interroga anche in merito alle conseguenze che possono discendere da un’eventuale difformità con il diritto comunitario dell’interpretazione attualmente adottata dai giudici nazionali in relazione alla normativa di cui trattasi nella causa principale.

138    Al riguardo va rammentato che, in forza di una giurisprudenza costante sviluppata a proposito dell’art. 10 CE, ma applicabile anche con riferimento all’art. 192 EA, il dovere per gli Stati membri, ai sensi delle dette disposizioni, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’esecuzione degli obblighi derivanti dal diritto comunitario vale per tutte le autorità degli Stati membri, ivi comprese, nell’ambito delle loro competenze, quelle giurisdizionali. Perciò il giudice nazionale è tenuto a conferire alla legge nazionale che è chiamato ad applicare un’interpretazione per quanto possibile conforme ai precetti del diritto comunitario. Se una simile applicazione conforme non è possibile, il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di proteggere i diritti che questo attribuisce ai singoli, eventualmente disapplicando ogni disposizione la cui applicazione, date le circostanze della fattispecie, condurrebbe a un risultato contrario al diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 4 febbraio 1988, causa 157/86, Murphy e a., Racc. pag. 673, punto 11, nonché 26 settembre 2000, causa C‑262/97, Engelbrecht, Racc. pag. I‑7321, punti 38‑40).

139    Alla luce di tutto quanto precede, occorre risolvere le questioni sottoposte nel senso che il principio del divieto di discriminazioni in base alla nazionalità nell’ambito di applicazione del Trattato CEEA osta all’applicazione di una normativa di uno Stato membro, come quella di cui alla causa principale, in forza della quale un’impresa, che disponga delle autorizzazioni amministrative richieste per esercire una centrale nucleare situata sul territorio di un altro Stato membro, può essere oggetto di un’azione giudiziaria diretta a far cessare immissioni o rischi di immissioni su fondi vicini provenienti da tale impianto, mentre le imprese che dispongano di un impianto industriale situato nello Stato membro del foro e che ivi beneficino di un’autorizzazione amministrativa non possono essere oggetto di una siffatta azione e sono esposte unicamente ad un’azione diretta alla condanna a corrispondere un indennizzo relativamente ai danni subiti da un fondo vicino.

140    Occorre anche rispondere che il giudice nazionale è tenuto a conferire alla legge nazionale che è chiamato ad applicare un’interpretazione per quanto possibile conforme ai precetti del diritto comunitario. Se una simile applicazione conforme non è possibile, il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di proteggere i diritti che questo attribuisce ai singoli, eventualmente disapplicando ogni disposizione la cui applicazione, date le circostanze della fattispecie, condurrebbe a un risultato contrario al diritto comunitario.

 Sulle spese

141    Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      Il principio del divieto di discriminazioni in base alla nazionalità nell’ambito di applicazione del Trattato CEEA osta all’applicazione di una normativa di uno Stato membro, come quella di cui alla causa principale, in forza della quale un’impresa, che disponga delle autorizzazioni amministrative richieste per esercire una centrale nucleare situata sul territorio di un altro Stato membro, può essere oggetto di un’azione giudiziaria diretta a far cessare immissioni o rischi di immissioni su fondi vicini provenienti da tale impianto, mentre le imprese che dispongano di un impianto industriale situato nello Stato membro del foro e che ivi beneficino di un’autorizzazione amministrativa non possono essere oggetto di una siffatta azione e sono esposte unicamente ad un’azione diretta alla condanna all’indennizzo per i danni subiti da un fondo vicino.

2)      Il giudice nazionale è tenuto a conferire alla legge nazionale che è chiamato ad applicare un’interpretazione per quanto possibile conforme ai precetti del diritto comunitario. Se una simile applicazione conforme non è possibile, il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di proteggere i diritti che questo attribuisce ai singoli, eventualmente disapplicando ogni disposizione la cui applicazione, date le circostanze della fattispecie, condurrebbe a un risultato contrario al diritto comunitario.

 

                                  (Seguono le firme)